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    Coming out: quando l’amore di un padre vince la vergogna di avere un “figlio finocchio”

    «Ricordo che quando ero ragazzino correvo a confessarmi dopo essermi toccato pensando ad un ragazzo. Chiedevo alla Madonna di guarirmi. Pregavo per un miracolo. Poi, facevo penitenza. Ci avevano sempre detto che non era giusto e soprattutto, che gli uomini dovevano amare le donne».

    Inizia così la storia di Fabio, oggi un uomo che ha accettato la sua omosessualità dopo aver vissuto per anni una doppia vita all’interno di una famiglia con un papà rigido.

    Un padre, che non avrebbe mai accettato la sola idea di avere un figlio “finocchio”: «Così mi sono imposto di amare Giulia, vivendo due vite fino all’età di 22 anni quando sono partito per Rimini. Lì finalmente mi sono sentito libero di essere me stesso e di poter amare chi volevo».

    L’Emilia Romagna gli ha dato la possibilità di riscattare sé stesso a 360° regalandogli, anche, un nuovo amore «Dopo anni di finzioni potevo finalmente vivere alla luce del sole la mia omosessualità senza aver paura. Credevo nell’amore e, nell’amore, sono cascato con tutte le scarpe innamorandomi di un ragazzo di 10 anni più grande».

    Ma a volte le cose belle, quando nascono, s’incollano una data di scadenza affianco a quella d’inizio: «Il mio ex compagno andava a lavorare in Spagna per la stagione invernale. Adesso che stavamo insieme, però, mi aveva promesso un “cambio programma”». Quando l’estate riminese tramontò, con gli ultimi vacanzieri a preparare le valigie c’era anche l’ex compagno di Fabio «mi chiese di accompagnarlo in stazione “vado a Roma a trovare mio nipote” mi disse. I suoi “valigioni” mi insospettirono ma lui tagliò corto dicendomi che doveva portargli delle cose. Pochi giorni dopo mi chiamò e il suo “hola!” non lasciò più dubbi ai sospetti»

    L’uomo di cui Fabio si era innamorato, era andato in Spagna nonostante la promessa fattagli qualche settimana prima «mi sentii tradito. Passai giorni tristi, in solitudine, a piangere».

    Un mese dopo questa persona tornò in Italia «mi chiese di vederci. Mi disse di aver trovato lavoro e di dover lasciare la casa riminese per l’imminente trasferimento. Ma tre giorni dopo quella che sarebbe dovuta essere la sua partenza definitiva, mi chiamò dicendomi “un contrattempo mi ha fatto saltare il lavoro, torno a Rimini, potresti ospitarmi?”. I mesi in cui eravamo stati distanti mi avevano fatto soffrire ma, erano serviti a farmi capire con che persona ero stato veramente: oltre ad aver tradito la mia fiducia, adesso riuscivo a vedere le volte in cui mi trattava malissimo quando, ad esempio, disapprovavo il fatto che spesso giocasse somme sostanziose al lotto. Così a quella richiesta, non me la sentii di accettare e con una scusa, rifiutai. Da quel momento per me è cominciato l’inferno e la mia prima esperienza d’amore, s’è trasformata in un incubo»

    E’ con il suo rifiuto che per Fabio inizia un calvario tanto che «io capisco perfettamente le donne vittime di violenza e stalking. Mi perseguitava ovunque: “io ti rovino”, “ti faccio finire in carrozzina” erano le sue frasi migliori tra un appostamento sotto casa e una chiamata anonima. Ero arrivato al punto che andavo a lavoro in macchina e la nascondevo perché tra le varie minacce c’era quella di volermela bruciare. Il cellulare era un incubo fino a quando, un giorno, ha chiamato casa dei miei»

    Nonostante il drammatico periodo Fabio sceglie di rimanere a Rimini e affrontare tutto da solo. Ed è lì che un amico di Custonaci lo informa che il suo ex è alla ricerca del numero di telefono dei suoi genitori «lui sapeva che la mia famiglia restava il mio tallone d’Achille. Così un giorno chiamò casa e, per fortuna, rispose mia mamma che, mentre apprendeva nella maniera peggiore dell’omosessualità del figlio, davanti a mio padre che la guardava continuando a chiederle chi fosse al telefono, pietrificata, fingeva che fosse “pubblicità”».

    Ma la sete di vendetta di quell’uomo non si era placata così «dopo aver riagganciato, chiamò ancora e, questa volta, a rispondere fu mio padre. Per la seconda volta quell’uomo vomitò addosso la verità su di noi senza avere un minimo di delicatezza. Tuttavia, mio padre, fece una cosa che io non mi sarei mai aspettato e che, successivamente, mi aiutò a reagire. Gli disse, semplicemente “va bene, adesso ha finito?” e riagganciò. Per i tre giorni successivi mia madre non riuscì a telefonare. Mio padre, invece, mi richiamò preoccupato. Mi raccontò della chiamata e mi chiese se stessi bene e se avessi bisogno di lui perché quella persona non gli era sembrata “sana di mente”. Questo gesto mi ha dato la forza di reagire mi sono detto “allora mio padre mi vuole bene lo stesso”».

    Fabio ha poi denunciato quell’uomo e successivamente ha saputo dalle sorelle che il padre aveva supportato la madre in quelle giornate, se non altro piene di trasporto, dicendole di “non piangere, è nostro figlio, dobbiamo volergli più bene di prima”.

    Questa è una storia vera. Da quel giorno sono passati 16 anni. Oggi Fabio è tornato a Trapani. Ha un compagno che non ha problemi a portare in famiglia. L’aver voluto raccontare questa storia probabilmente è stato da una parte il suo modo per ringraziare il padre, dall’altra un modo per dire, a chi ha ancora difficoltà a fare coming out, che l’amore di un genitore va sempre oltre.

    Questa, è una storia che dovrebbe far riflettere anche le famiglie che stentano ad accettare un cambiamento e che in Italia, secondo gli ultimi dati di Gay Help Line, ricavati dai 21.000 contatti ricevuti nell’ultimo anno, non sono poche visto che ben il 41,6% sono le persone che hanno chiamato il contact center (800 713 713) per aver subito violenza omotransfobica in famiglia in seguito al coming out. Le vittime sono per il 31,6% giovani tra gli 11 e i 26 anni e per il 15% minori.

     

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