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Si stringe il cerchio intorno a Messina Denaro: Arrestati i “postini” del boss e perquisita la casa della madre

Sarebbe scattato dall’”ultimo” pizzino del capomafia latitante Matteo Messina Denaro al centro dell’indagine della Dda di Palermo che oggi avrebbe fatto scattare il blitz della Polizia di Stato tra le province di Trapani e Caserta.

La notizia del ‘pizzino’ della primula rossa è spuntata durante una intercettazione.
Da queste, infatti, nel 2015 il boss Messina Denaro mandò un biglietto, (un pizzino), ai suoi fiancheggiatori nel quale «mostra il suo interesse per l’acquisto di un terreno a Castelvetrano», il comune in cui è nato. «E la famiglia mafiosa è intervenuta per “convincere” i proprietari a vendere il terreno», come dicono gli inquirenti. Il retroscena emerge dall’operazione.

E’ anche emerso un altro particolare ritenuto interessante dagli investigatori. Quello stesso terreno, in passato, era appartenuto al boss mafioso Totò Riina.

In manette finiscono gli ennesimi “postini” del super latitante. Quelli che trasportano i pizzini con cui Messina Denaro dirige l’intera Cupola mafiosa. Si tratta di Giuseppe Calcagno di 46 anni, di Campobello di Mazara (Trapani), e Marco Manzo, 55 anni, pregiudicato, di Campobello di Mazara, indagati per associazione di tipo mafioso ed estorsione.

Ma non solo. L’indagine, denominata “Ermes Fase 3”, “ha disvelato che i 15 indagati, membri o contigui dei mandamenti mafiosi di Mazara del Vallo e di Castelvetrano, si sono adoperati per garantirne gli interessi economici, il controllo del territorio e delle attività produttive da parte dell’associazione e per aver favorito, in passato, la comunicazione riservata con il latitante Matteo Messina Denaro”, dicono gli inquirenti.

E’ stata fatta luce sugli interessi e sui rapporti fra gli affiliati del mandamento mafioso di Mazara del Vallo, retto da Vito Gondola, morto il 13 luglio 2017, e sui rapporti che il capomafia mazarese intratteneva con altri appartenenti alla famiglia mafiosa di Marsala, di Campobello di Mazara e di Castelvetrano.

Sempre con i pizzini, nel corso di incontri riservati, venivano decise estorsioni nella compravendita di fondi agricoli e nell’esecuzione di lavori pubblici. L’indagine ha dimostrato anche l’intestazione fittizia di beni riconducibili a mafiosi e l’intervento dell’organizzazione per risolvere controversie economiche fra soggetti vicini alle famiglie.

Il tutto dietro la regia di Matteo Messina Denaro. Si perchè nessuna foglia vola senza che lui non voglia. Anche le più piccole decisioni in merito ad alcune estorsioni venivano assunte su indicazione diretta del superlatitante.

Calcagno Giuseppe

Il ruolo svolto da Giuseppe Calcagno, arrestato nel blitz odierno, ha consentito al reggente del mandamento mafioso di Mazara del Vallo, Vito Gondola, l’esercizio delle sue funzioni di vertice, eseguendone puntualmente gli ordini.

Calcagno è stato un punto di riferimento nel segreto circuito di comunicazioni finalizzate alla veicolazione dei pizzini del latitante. E’ intervenuto nella risoluzione dei conflitti interni alla cosca mafiosa, ha partecipato a incontri e riunioni riservate, anche finalizzati allo scambio di informazioni, e ha mantenuto contatti con altri esponenti di vertice.

Manzo Marco

Anche il ruolo di Marco Manzo non è stato da meno nel favorire l’esercizio della posizione di comando da parte di Gondola. Manzo ha partecipato a riunioni e incontri con altri membri dell’organizzazione e ha favorito lo scambio di informazioni, anche operative, con membri e vertici delle famiglie mafiose della provincia di Trapani e di altre province.

Pure lui è intervenuto per risolvere i conflitti interni e si è imposto nel territorio quale imprenditore del settore di carburanti in posizione dominante in forza dalla sua appartenenza a Cosa nostra. Oggi Marco Manzo è indagato, in concorso, anche per aver costretto un dipendente di una società per la vendita di carburanti di Campobello di Mazara a rassegnare le proprie dimissioni, rinunciando al pagamento degli stipendi arretrati e alle altre spettanze economiche. Sempre lui era stato condannato per aver favorito la latitanza del boss mafioso Vincenzo Sinacori e successivamente per danneggiamento aggravato ai danni dell’abitazione di un politico di Castelvetrano.

Un controllo ferreo del territorio e delle attività economico-imprenditoriali che passava attraverso minacce e azioni violente, per la realizzazione delle quali era fondamentale un costante scambio di informazioni fra i vertici delle varie famiglie della provincia.

Sono state documentate le pressioni estorsive esercitate su un agricoltore marsalese, al fine di costringerlo a cedere a un membro dell’associazione un appezzamento di terreno, che invece avrebbe voluto acquistare per sè.

 

Le indagini hanno fatto luce anche su i contrasti fra uno degli indagati mafiosi e alcuni imprenditori agricoli e allevatori e su gli incontri tra mafiosi finalizzati a ricercare una soluzione. L’intervento di Cosa nostra era essenziale anche per risolvere dissidi per l’utilizzo di alcuni fondi agricoli e per il pascolo nelle campagne di Castelvetrano.

Attraverso le attività tecniche di intercettazione è stato svelato il tentativo di estorsione nei confronti degli eredi del defunto boss mafioso campobellese Alfonso Passanante, affinchè cedessero la proprietà di un vasto appezzamento di terreno in contrada Zangara di Castelvetrano, appartenuto al boss deceduto Totò Riina.  Le minacce dalla cosca mafiosa di Campobello, rappresentata dal boss mafioso Vincenzo La Cascia, furono avallate anche da una lettera intimidatoria attribuita al latitante Matteo Messina Denaro, risalente al 2013.

Oggi, numerose le perquisizioni e gli arresti nei confronti dei favoreggiatori della primula rossa.Quindici gli indagati a vario titolo per associazione mafiosa, estorsione, detenzione di armi e favoreggiamento della latitanza del boss mafioso Messina Denaro, anch’egli indagato per tentata estorsione, in riferimento alle minacce esercitate direttamente per mettere le mani su un terreno in passo appartenuto al padrino corleonese Totò Riina.

A Castelvetrano, nel trapanese, gli uomini della Mobile di Trapani hanno perquisito la casa della madre di “U Siccu”, domicilio ufficiale del boss. L’operazione è stata condotta dagli uomini della Squadra Mobile di Trapani diretta dal vicequestore aggiunto Fabrizio Mustaro con l’ausilio degli uomini della Questura, dei Commissariati della provincia e dei Reparti Prevenzione Crimine di Palermo e di Reggio Calabria, con unità cinofile e il Reparto Volo di Palermo. Sono stati impiegati 90 uomini della Polizia di Stato.

Nessuna tregua al padrino di Castelvetrano. Ad un imprenditore vicino al super latitante Matteo Messina Denaro, il 3 giugno scorso, la DIA aveva sequestrato beni per 300 milioni di euro.

Contemporaneamente a Napoli, la Squadra Mobile di Caserta, con il coordinamento della Direzione Distrettuale Antimafia di Napoli, sta eseguendo numerosi arresti nei confronti degli esponenti del sodalizio criminale con a capo un ex cutoliano, attuale reggente del clan dei Casalesi nell’agro Teano. Tra gli arrestati anche il referente di zona del federato clan “Papa“.

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