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Valderice, conferita la cittadinanza a Liliana Segre

La senatrice Liliana Segre è cittadina di Valderice. Lo comunica tramite un comunicato su Facebook il Sindaco Francesco Stabile.

Il Consiglio comunale -continua- ha conferito, all’ unanimità la cittadinanza onoraria alla senatrice, testimone dei campi di concentramento di Auschwitz e vittima di diversi insulti.

Un atto che conferma l’impegno dell’amministrazione nell’affermazione dei principi e dei valori democratici, ripudiando l’odio razziale, la violenza e qualsiasi altra forma di sopraffazione. Siamo onorati che la senatrice Liliana Segre faccia simbolicamente parte della nostra comunità.

Liliana Segre chi è

(da Wikipedia)

Liliana Segre (Milano, 10 settembre 1930) è un’attivista e politica italiana, superstite dell’Olocausto e attiva testimone della Shoah italiana

Il 19 gennaio 2018 è stata nominata senatrice a vita dal presidente della Repubblica Sergio Mattarella per aver illustrato la patria con altissimi meriti nel campo sociale.

Nata a Milano in una famiglia ebraica, visse col padre, Alberto Segre,[2] e i nonni paterni, Giuseppe Segre (affetto da una grave forma di Parkinson) e Olga Loevvy.[3] La madre, Lucia Foligno, morì quando Liliana non aveva neanche compiuto un anno. Di famiglia laica, Liliana ebbe la consapevolezza del suo essere ebrea attraverso il dramma delle leggi razziali fasciste del 1938, in seguito alle quali venne espulsa dalla scuola che frequentava.

Dopo l’intensificazione della persecuzione degli ebrei italiani, suo padre la nascose presso degli amici, utilizzando documenti falsi. Il 10 dicembre 1943 provò, assieme al padre e due cugini, a fuggire a Lugano, in Svizzera: i quattro furono però respinti dalle autorità del paese elvetico. Il giorno dopo, Liliana Segre venne arrestata a Selvetta di Viggiù, in provincia di Varese, all’età di tredici anni. Dopo sei giorni in carcere a Varese, fu trasferita a Como e poi a San Vittore a Milano, dove fu detenuta per quaranta giorni.

Il 30 gennaio 1944 venne deportata dal binario 21 della stazione di Milano Centrale al campo di concentramento di Auschwitz-Birkenau, che raggiunse dopo sette giorni di viaggio. Fu subito separata dal padre, che non rivide mai più e che sarebbe morto il successivo 27 aprile. Il 18 maggio 1944 anche i suoi nonni paterni furono arrestati a Inverigo (provincia di Como); dopo qualche settimana anche loro vennero deportati ad Auschwitz e uccisi al loro arrivo, il 30 giugno 1944.[3]

Alla selezione, Liliana ricevette il numero di matricola 75190, che le venne tatuato sull’avambraccio. Fu messa per circa un anno ai lavori forzati presso la fabbrica di munizioni Union, che apparteneva alla Siemens. Durante la sua prigionia subì altre tre selezioni. Alla fine di gennaio del 1945, dopo l’evacuazione del campo, affrontò la marcia della morte verso la Germania.

Venne liberata il primo maggio 1945 dal campo di Malchow, un sottocampo del campo di concentramento di Ravensbrück che fu liberato dall’Armata rossa.[4] Dei 776 bambini italiani di età inferiore ai 14 anni che furono deportati ad Auschwitz, Liliana fu tra i venticinque sopravvissuti.[5]

Al rientro nell’Italia liberata, visse inizialmente con gli zii e poi con i nonni materni, di origini marchigiane, unici superstiti della sua famiglia. Nel 1948 conobbe a Pesaro, mentre era in vacanza al mare, Alfredo Belli Paci, cattolico[6][7], anch’egli reduce dai campi di concentramento nazisti per essersi rifiutato di aderire alla Repubblica di Salò. Già battezzata con rito cattolico prima delle leggi razziali fasciste[8], si sposò con rito cattolico nel 1951. I coniugi Belli Paci ebbero tre figli.

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