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Maria Elena da 20 anni insegnante all’IC “G. Mazzini” di Erice, ci racconta la DAD al tempo di covid

Il tempo resta sospeso. Sospeso anche adesso che tutto, un pò alla volta, ci dicono, inizierà a tornare come prima ma che, invece, prende sempre più la forma dell’illusione. Malgrado il rispetto delle regole. Il tempo resta sospeso nel passaggio di fasi all’interno di un governo che si rimbalza responsabilità lasciando gli italiani ad attendere la firma di un decreto (intanto). Un pretesto per restare immobile mentre in realtà, adulti responsabili cercano di mitigare paure e ansie continuando a rassicurare i piccoli. Piccoli ai quali è stato tolto, forse più che ai grandi la libertà di: muoversi, giocare, rincorrersi, abbracciarsi, relazionarsi, sbagliare, cadere e rialzarsi, sporcarsi, riprovare, essere felici. Oggi anche l’infanzia rubata ai parchi si interfaccia in relazioni fatte al pc. La scuola dallo 0/6 in poi sta finendo (o addirittura imparando) di leggere, scrivere e far di conto a distanza.

Fino a ieri il centro del dibattito era l’essere troppo incollati agli schermi piatti e freddi. Oggi l’emergenza perdona pure quello. Gli eventuali danni si conteranno domani.

La scuola s’è ristretta nel mirino dentro il quale era finita da anni ormai ma di fatto, nessuno si era mai preoccupato di tirarla fuori dall’impasse. Oggi però più di 8 milioni di studenti in Italia sono a casa. Due milioni e mezzo i bambini delle elementari. Le scuole hanno quasi tutte attivato la didattica a distanza (DAD). L’emergenza, sottaciuta, si fa strada su più livelli: apprendimento, emotiva, gestionale (per restare sul basico).

Da un lato genitori prima per certi aspetti avversi verso lo stile d’insegnamento utilizzato da alcuni insegnanti, oggi si stanno completamente affidando alle capacità organizzative e didattiche che la professionalità del settore possiede.

Dall’altro le maestre sono strette dentro una forbice che ha visto tagliata la propria vita privata. In alcuni casi, soprattutto sul territorio siciliano, che registra una dispersione scolastica pari al 37,4% (dato 2019), le insegnanti hanno supportato (psicologicamente e alcune volte, non solo), famiglie che conoscevano ben altri stati di emergenza oltre il covid-19.

Essere insegnante, come spesso molte di loro ci dicono, è una vocazione, non è un mestiere. Ma a dividere il pensiero dell’opinione pubblica sulla percezione della categoria, contribuisce anche la poca chiarezza del ministro Azzolina. Tpostit ha già raccolto le interviste di come l’emergenza covid è vissuta nelle scuole dell’infanzia del territorio trapanese ma soprattutto nelle case delle maestre e dei bambini che le frequentavano (QUI), nei licei (QUI) e ha dato voce anche componente della segreteria della Cisl scuola Palermo Trapani per fare il punto (QUI). Oggi, intervista Maria Elena, docente d’inglese alla primaria dell’IC “G. Mazzini” di Erice

 Docenti, alunni e mamme si sono dovuti adattare ad una nuova forma di insegnamento imposta dalla didattica a distanza. Tu, che sei mamma di due bambini, ed hai il polso della situazione nelle vesti di madre, ed in quelle di insegnante, come hai tenuto a bada la pressione del momento?

«La gestione non è stata facile soprattutto nelle prime settimane quando ancora non si aveva il polso effettivo della gravità della situazione, ma quando già aleggiava che la riapertura delle scuole sarebbe avvenuta direttamente a settembre.

Nelle vesti di madre, per tenere a bada la pressione del momento, la prima cosa che mi sono e ho imposto è stata strutturare la giornata dei miei figli affinché di colpo non avvertissero lo svuotamento del proprio tempo. Questo l’ho fatto tra svolgimento di attività scolastiche, gioco libero, guidato, riposo e tv serale. Spesso non è semplice ma, nel mio caso, non mi pare stiano soffrendo oltremodo la situazione.

Sicuramente più pressante il ruolo di insegnante: dopo le prime due settimane incerte e confusionarie su quando e come organizzare il lavoro scolastico sto cercando di svolgere la mia professione tenendo conto delle difficoltà, spesso non indifferenti, in cui versano diverse famiglie facenti parte della mia utenza scolastica.

Ho ascoltato le loro ansie, le perplessità e le paure e per gestire queste ho rimodulato la mia programmazione annuale, in parte la metodologia e giornalmente cerco di raggiungere l’obiettivo didattico preposto in concerto con le esigenze che la mia utenza ha».

Qual è stata la reazione dei bambini rispetto a questo stato di necessità? 

«Per quel che concerne i miei alunni, buona parte delle mamme mi ha riferito che i bambini hanno avvertito un grande senso di smarrimento i primi giorni dopo l’attivazione della DAD (Didattica A Distanza). Oggi soffrono ancora l’assenza del contatto con le insegnanti ed i compagni e, soprattutto nella prima fase, hanno riscontrato non indifferenti difficoltà di adattamento al nuovo modo di fare scuola».

Le insegnanti nel mirino. Da una parte “privilegiate”: stanno a casa, non fanno nulla e prendono lo stipendio. Dall’altra “penalizzate”: sottopagate (da sempre) per il lavoro svolto e mai effettivamente capito, oggi con la didattica a distanza gestiscono (come nel tuo caso) figli e scuola (tra l’altro a proprie spese –connessioni, videochiamate ecc) impegnandosi maggiormente nel dover monitorare monitorare emozioni e didattica. La verità dove sta?

«La verità sta nel mezzo, ma chiaramente risulta inaccettabile ai miei occhi il “non fanno nulla”.

Mi sento privilegiata dinanzi a tutto il personale sanitario che sfida ogni giorno la malattia o rispetto a tutti coloro che sono costretti a stare a casa senza percepire un euro ma, se mi è concesso, vorrei sarcasticamente “rasserenare” gli animi di coloro che pensano che percepiamo lo stipendio senza far nulla. Di fatto stiamo lavorando e, mi sento di poter parlare per buona parte della categoria, il triplo rispetto a prima: a tempo di covid, il tempo per noi non c’è. Il lavoro scolastico, con una costante reperibilità e declinato in videolezioni e riunioni, correzioni di compiti e preparazioni delle boards da postare in piattaforma agli alunni, si deve poi necessariamente intersecare alla gestione di figli, casa e vita coniugale senza mai staccare e senza possibilità di aiuto alcuno. L’unico grande privilegio che continuo ad avere nel mio lavoro, è legato alla ricchezza e genuinità dei rapporti umani che lo contraddistingue».

Oggi i genitori si sono ritrovati a gestire i propri figli h24, oltre a fare anche i “maestri” dovendoli aiutare nei compiti che, secondo loro sono troppi: Confermi?

«La lamentela sulla quantità dei compiti mi è stata riportata spesso adesso che siamo in DAD.

Per fronteggiare questo problema, l’equipe pedagogica stila settimanalmente un diario di bordo su argomenti ed attività da proporre ai propri studenti in modo tale che, ogni singolo insegnante, abbia consapevolezza del livello di complessità e quantità del lavoro del collega e, in virtù di questo, rimodulare il proprio.

Dopo le prime settimane di totale caos penso che la questione sia rientrata. Resta tuttavia il problema dei genitori che si ritrovano oggi a fare gli insegnanti e, quel che è peggio, dei propri figli. E’ un problema effettivo al quale abbiamo solo in parte provveduto con l’attivazione delle videoconferencing. Nulla di sostituibile alla lezione in presenza».

Quali sono i punti di forza, quali quelli di debolezza di questa didattica? Pensi si possa parlare di “scuola del futuro?

«Partiamo da un presupposto: la presenza/assenza di devices efficaci all’attuazione della Dad presso le famiglie. Questo ancora oggi resta un problema a cui le scuole hanno cercato di provvedere con i fondi stanziati, ma che ha creato e crea situazioni di svantaggio e ha ostacolato l’accesso all’istruzione per alcuni; in questo tipo di didattica, infatti, la qualità dell’insegnamento/apprendimento è subordinato a variabili quali, appunto, la tipologia di device a disposizione (smartphone/tablet/PC) e di connessione usata.

Presupponendo che tutte le famiglie abbiano le strumentazioni idonee per la dad, bisogna dire che in un ordine di scuola quale è la primaria, che abbraccia la fascia di età 6-10 anni, quel che è un punto di forza per un ragazzino di 10 anni non lo è certamente per un “cucciolo” di 6.

La DAD ha come grande debolezza l’impossibilità della gestione autonoma da parte degli alunni di strumento e piattaforma, credo per lo meno fino alla terza classe. Gli alunni delle classi uscenti, invece, riescono pressochè a gestirsi autonomamente una volta conosciute le piattaforme e-learning utilizzate. Un punto di forza comune è sicuramente quello di aver aperto a docenti e discenti un nuovo modo di fare scuola; ci siamo tutti autoformati e avventurati in questo percorso che inizialmente sembrava ostico, ma che ci sta permettendo di scoprire risorse ed attività efficaci da poter proporre ai nostri alunni in forma ludica ed interattiva, nel segno sempre dell’obiettivo didattico che si intende perseguire. Tuttavia possiamo parlare di “scuola del futuro” se la Dad è da intendere come trasversale ed aggiuntiva alla didattica in presenza, ma non sicuramente sostitutiva».

 

Credi che in questi anni la figura degli insegnanti abbia perso, se non altro, l’autorevolezza di una volta? 

«Sicuramente è variata la gestione dei rapporti. Adesso il sistema scolastico è molto più attento alle realtà delle singole famiglie, ai loro bisogni. Gli insegnanti non sono dei meri trasmettitori di contenuti e oggi, mi permetto di dire sicuramente più di quelli di un tempo, sono anche “amici”, “psicologi”, “sostenitori” di famiglie e alunni; questo ha variato la trama dei rapporti e porta spesso ad un maggiore livello di confidenza tra le due parti. Tuttavia maggior livello di confidenza alcune volte, dipendentemente con chi ci si relaziona, sfocia in altro. Quel che certo, quindi, è che ogni docente è un individuo/insegnante con la propria umanità ed il proprio modo di fare scuola, che si imbatte giornalmente con l’educazione e il buon senso delle famiglie che la frequentano».

Tu insegni inglese in una scuola primaria nelle classi seconde e quinte. Come pensi si possa rispettare il distanziamento sociale, soprattutto nelle classi dei più piccoli?

«Sì, insegno da circa 20 anni nell’IC “G. Mazzini” di Erice. Sono sufficientemente consapevole della situazione del nostro sistema scolastico per cui sarò ripetitiva rispetto a ciò che si sente: l’attuazione del distanziamento sociale è attuabile solo con un abnorme investimento di risorse economiche del Paese che dovrebbe acquisire gli strumenti di distanziamento, probabilmente assumere personale e/o quantomeno provvedere ad aiutare le famiglie che dovranno seguire, o far seguire da altri, i bambini che nel frattempo si troveranno in casa a fare DAD. Credo che la nostra Italia non sia pronta nè disponga dei mezzi necessari per fronteggiare una situazione simile».

Guardando a settembre e pensando ai bambini e alle vostre famiglie, quali sono le paure che ti accomunano con le colleghe?

«Le paure accomunano le colleghe e i genitori. Non c’è voglia di pensare ad una scuola in DAD a settembre perché siamo più che consapevoli della poca efficacia di questo modo di fare scuola se confrontata a quella in presenza. Chiaramente la metà della classe a casa verrà inevitabilmente penalizzata nella qualità dell’insegnamento ricevuto e al contempo dell’apprendimento. A tutto ciò si aggiunge la paura di genitore in merito alla gestione dei figli, scolastica e non solo, in quanto quasi certamente la loro presenza/assenza a scuola non coinciderà chiaramente con la sua. Esterno sul finire il più grande timore che accomuna le famiglie italiane oggi: l’organizzazione e la gestione dei propri figli a settembre».

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